martedì 1 ottobre 2013

Annet Hanneman al campo dei rifugiati siriani

Da Volterra al campo dei rifugiati siriani...
[ fonte: quotidiano "il Tirreno" ]
«Io nel campo di rifugiati siriani» Annet Henneman, madrina del Teatro di Nascosto, racconta l’incubo delle popolazioni martoriate dalla crisi umanitaria in corso.  
Tremila persone circa intorno a lei. Tutti accampati nelle tende: ci sono quaranta gradi, manca acqua, luce, elettricità in quella terra dove tanti giovani paralizzati aspettano aiuti che forse non arriveranno mai.
Altrettanti bambini sperano in un presente di salvezza prima, per poter pensare a un futuro. Anche questa volta Annet Henneman è in prima linea ad Arbat: è un campo di rifugiati siriani nel Kurdistan iraqueno.
La madrina del Teatro di Nascosto vola da Volterra nella culla della crisi umanitaria innescata dalla guerra in Siria. «Solo a raccontare quello che sto vivendo mi viene da piangere», racconta via telefono. È l’unico mezzo di comunicazione che ha nel campo.
«Sono ospite da una donna qua, è vedova: suo marito è stato picchiato a morte perché era un tifoso della squadra di calcio curda a Qamisle e voleva riparare alcune cose dentro lo stadio». I racconti dei conflitti armati sono all’ordine del giorno.
«Quello di Hamsa resta nella mente: era un bambino. Un venerdì di 2 anni fa non tornò più a casa: un mese dopo fece ritorno con proiettili nel braccio destro e sinistro, nell’addome, il suo corpo era pieno di lividi e il collo rotto. «Accanto a tutto questo mi hanno raccontato che tornò mutilato delle sue parti intime: è diventato parte della memoria di tanti siriani», dice Henneman.
Al campo si beve tè: giorno dopo giorno passa a far visita a tutte le tende. All’interno di una c’è Rajbar: «Quando entro lui è sdraiato con la busta per il catetere, era parte dell’armata di Assad, voleva scappare ma rischiava la morte se lo faceva: un giorno l’ha fatto, gli hanno sparato e adesso lui è paralizzato dalla vita in giù». Henneman ascolta, racconta, prova a rendersi utile facendo sapere al mondo quella realtà da incubo: «Il giovane sogna un portatile con internet per avere un contatto col mondo, sogna di camminare, essere curato ma non è possibile qua: potrebbe essere operato in Europa ma non ha passaporto come tanti curdi in Siria»....
Qui alcune foto del campo dei rifugiati siriani.

Ammazzati come cani sulla spiaggia di Montalbano...
[ fonte: www.siciliainformazioni.com ]
Sono stati ammazzati come cani, non sono annegati perché non sapevano nuotare. Sono stati gettati a mare a viva forza, a scudisciate dagli “schiavisti”.
Sono morti perché non sapevano nuotare. Non avrebbero potuto raggiungere la riva. Avevano strapagato gli scafisti ed avevano compiuto un viaggio interminabile e pieno di pericoli dall’Eritrea fino alle coste nei pressi di Scicli, che qui ormai sono state battezzate come "le spiagge di Montalbano".
I tredici corpi sono rimasti una giornata intera sul bagnasciuga, coperti dal lenzuolo. Le loro identità non si conoscono, ma anche se fossero note non cambierebbe niente. Come se fossero finiti all’altro mondo due volte.
Avranno una sepoltura, ma non un funerale. E nessuno saprà che sono arrivati.
Ormai non fanno notizia i cadaveri dei migranti. I giornali on line contano le letture, i cadaveri del popolo in fuga sono diventati routine, come gli scippi, i furtarelli, le piccole truffe. Quelli che ce la fanno, finiscono nei centri di accoglienza, che sono affollati. Perciò diventano un problema.
Fino a qualche tempo fa, si pensava che continuassero a partire ignari di quel che avrebbero trovato, dei pericoli che avrebbero dovuto affrontare, come la conclusione drammatica di ogni approdo che non avviene sul molo di un porto ma, assai frequentemente, al largo, perché gli scafisti devono evitare la Guardia Costiera. Ora sappiamo che non è affatto vero. Chi parte, conosce i pericoli che si accinge ad affrontare. Ciò nonostante non si tira indietro, anzi i genitori portano con loro bambini, anche in fasce, o adolescenti. Significa che scappano dall’inferno e che qualunque cosa è meglio che morire di stenti o subire vessazioni intollerabili.
E’ un mondo ingiusto.